venerdì 22 novembre 2019

3
Psicoterapia

Nenia di Sara Morghese

Non c’era diceria che lo turbasse a tal punto da indurlo alla violenza.

Di fatto, le dicerie erano parecchie, forse troppe perché il professor Pandossa passasse inosservato sotto la vigile sorveglianza delle autorità preposte, che in questi casi manifestano tutto il proprio zelo.

Una mattina, poco prima dell’inizio delle lezioni, il preside del liceo mandò un bidello in sala consiglio a chiamare il professor Pandossa.
Bidello: <<Professor Pandossa?>>
Pandossa: <<Eccomi!>>
Bidello: <<Professore, mi perdoni! Il preside vuole vederla.>>
Augusto, indifferente alla volontà del preside, rispose con gentile sollecitudine al bidello: <<Lei è una persona talmente cortese e professionale… Cosa vuole farsi perdonare da me? Non è mica colpa sua se il preside le assegna delle seccature.>>. Il bidello, esterrefatto, non comprese il sottile riferimento linguistico alla formula convenzionale de “mi perdoni!” e si limitò a ringraziare con pronta sottomissione, considerando che l’ambasciata fosse compiuta. Gli altri professori presenti dissimularono disinteresse, ma, lentamente, si riunirono in gruppuscoli d’indagine e confronto critico sulle ragioni della convocazione. Pandossa, per contro, attese il suono della campanella e si recò in aula, senza nemmeno prendere in esame la notizia comunicatagli. Alla fine della prima ora, ricomparve sulla soglia il bidello: <<Professore, mi perdoni! Forse, poco fa, mi sono espresso male. Il preside chiede di lei, vuole incontrarla. Se può andare in presidenza…>>. Ancora una volta, l’etica del letterato scrupoloso ebbe la meglio su quella dell’impiegato: <<Certamente. Posso andare in presidenza, ne ho facoltà. Ma è bene chiarire una cosa: sono stato io ad esprimermi male! Intendevo dirle che lei non ha nulla da farsi perdonare. Non occorre che mi dica “mi perdoni!”. Siamo colleghi e ci conosciamo da anni. Siamo entrambi impiegati. Anzi, se lei è d’accordo, fin da ora, possiamo usare il tu tra di noi.>>. I ragazzi, a sentire l’intervento libertario del professore esplosero in un applauso fragoroso, che egli, però, tacitò repentinamente mostrando loro il palmo della mano. Il bidello, invece, apparve subito inebetito. Rimase muto, sulla soglia dell’aula a fissare ora Augusto Pandossa ora i ragazzi. Augusto, avvedutosi dell’imbarazzo del bidello, gli andò incontro tendendogli la mano e lo ringraziò della rinnovata ambasciata. Ma, per la seconda volta, disattese l’ordine del preside. Trascorsa una buona mezz’ora, si sentì bussare alla porta dell’aula. Augusto si alzò e andò ad aprire. Gli si presentò innanzi un tipo basso e paffuto: il preside, che gli si rivolse sbuffando e con la solita voce chioccia.
Preside: <<Augusto, ti ho fatto chiamare tre volte. Possibile che tu sia sempre così intrattabile? Non cambi mai!>>
Pandossa: <<Dammi una buona ragione per cambiare!>>
Preside: (infastidito) <<Non è il momento di perdersi in chiacchiere. Dobbiamo scambiare due paroline. In privato. Possiamo andare in presidenza?>>
Pandossa: (…per il professor Pandossa, l’uso del verbo “potere” era effettivamente vincolato alla possibilità che qualcosa si verificasse, ma non esprimeva un comando né un’esortazione a che la richiesta si realizzasse. Pertanto, si dilettava con dei giochini linguistici che, di solito, irritavano l’interlocutore.) Certo, possiamo andare in presidenza. Ne abbiamo facoltà. Ma, dimmi, preside! “Dobbiamo” hai detto? È un dovere morale?>>
Preside: (…accigliato) <<Sì, è un dovere morale!>>

Il preside s’avviò verso il corridoio dell’antistante presidenza, convinto d’essere seguito dal professore, ma Pandossa, fermamente convinto, al contrario, dell’ambiguità del verbo “potere”, non si mosse. Dopo una decina di passi, il preside si voltò e, vedendo Pandossa immobile sulla soglia della porta, andò su tutte le furie.

Preside: (…urlando) <<Pandossa, cazzo! Seguimi!>>
I ragazzi cominciarono a ridacchiare e confabulare, divertiti.
Pandossa: (…con un sorriso di placidità) <<Non sono il tuo Simon Pietro, ma se mi farai pescatore di uomini…>>.

In presidenza, il preside sembrò rasserenarsi e la conversazione ebbe inizio.
Preside: (…imbarazzato, agitato, con crescente goffaggine, quasi balbettando) <<Beh, caro Augusto, bisogna rimediare ad alcune cosette. Di recente, si raccontano troppe cose sul tuo conto…sarebbe il caso di far luce su… noi ci conosciamo fin dai tempi dell’università… è il caso che la tua reputazione di studioso sia salvaguardata… tu sei il fiore all’occhiello di questo istituto… capisco che, da quando è morta tua moglie, è stato difficile… le tue frequentazioni poi sono un po’… sono persuaso che tu comprenda le ragioni di questo mio intervento…>>
Pandossa: (…rilassato e curioso, allegro) <<Sì, comprendo benissimo le ragioni di questo tuo intervento… in effetti, le mie frequentazioni sono un po’… dalla morte di mia moglie è stato difficile… è stato bello essere il fiore all’occhiello dell’istituto… è il caso che la mia reputazione di studioso sia salvaguardata… d’altronde, noi ci conosciamo fin dai tempi dell’università… è il caso di far luce su… bisogna rimediare ad alcune cosette.>>
Il preside aguzzò lo sguardo, aggrottò le sopracciglia e, reggendosi sui braccioli dello scranno, si sporse in avanti sulla scrivania per carpire le intenzioni di Pandossa, che aveva appena ripetuto con pedissequa precisione il suo evanescente discorso.
Preside: (…basito) <<Mi stai prendendo per il culo?>>
Pandossa: (…sporgendo in avanti il labbro inferiore) <<No!>>
Preside: (…più interdetto che mai) <<Mah… Comunque, la psicologa della scuola è un’eccellente professionista. S’è laureata con pieni voti, ha svolto con brillante profitto il dottorato di ricerca, ha scritto pure dei saggi sul rapporto tra atti linguistici e comportamento… Io penso che sia meritevole di fiducia… lavora con noi da qualche anno…>>
Pandossa: <<Lo penso anch’io.>>
Preside: <<Cosa?>>
Pandossa: <<Che sia meritevole di fiducia! Devo consigliare a qualcuno di andare a trovarla. Hai ragione, bisogna aiutare i giovani a crescere in professionalità.>>
Preside: (…passandosi le mani sul volto come a contenere lo stress) <<Beh, sì. Però, intendevo anche altro. Potresti andare a trovarla tu, così, per scambiare due parole con lei…>>
Pandossa: (…pur essendo consapevole dei propositi del preside) Ma no! Ha qualche anno in più di mia figlia. Ti ringrazio di cuore dell’interessamento, ma, ormai, alla mia età, sono fin troppo abituato a stare da solo, non voglio frequentare una donna, non è il caso…>>
Preside: (…rosso di vergogna) <<Intendevo dire che potresti frequentarla per le sue competenze; a nessuno di noi fa male un colloquio con una psicologa… Non credi?>>
Pandossa: (…rimettendosi in piedi, sul punto di lasciare la stanza) <<Fissami un appuntamento! Ma non prima delle diciotto! Adesso, torno in aula!>>
Il preside, a bocca aperta, istupidito, seguì con lo sguardo Augusto Pandossa, mentre questi si dileguava fischiettando.

Nello studio di psicoterapia.

Psicoterapeuta: <<Buongiorno, professor Pandossa. Come sta?>>
Pandossa: <<Piuttosto bene. Avrei preferito restare a casa, sul divano, a guardare un film, gustando i prelibati cioccolatini regalatimi da mia figlia, ma mi sono adattato volentieri alla novità.>>
Psicoterapeuta: <<Cosa l’ha indotta a venire da me, dal momento che preferiva gustare i cioccolatini di sua figlia?>>
Pandossa: <<Il preside.>>
Psicoterapeuta: <<Lei è qui per il preside?>>
Pandossa: <<Sì. Ma questo lo sa anche lei. È stato lui a fissare l’appuntamento. Mi rendo conto che il protocollo terapeutico prevede un certo approccio, quindi, se è necessario, andiamo avanti così!>>
Psicoterapeuta: <<Quindi, lei ha fatto cosa gradita al preside venendo qui. Come la fa sentire questo gesto nei confronti del preside?>>
Pandossa: <<Un uomo molto caritatevole! Il preside è cardiopatico ed io ho voluto accontentarlo.>>
Psicoterapeuta: <<Le sembra un bel gesto?>>
Pandossa: <<No. Non è un bel gesto. È  solo un’opera di carità. L’aggettivo da lei usato è improprio.>>
Psicoterapeuta: <<Quindi, la sua presenza qui è un’opera di carità e lei avrebbe preferito stare a casa a gustare i cioccolatini che le ha regalato sua figlia.>>
Pandossa: <<Esatto! Mi spieghi una cosa! Presumo che la riformulazione faccia parte del metodo, ma, mi creda, è molto noiosa! Potremmo cimentarci in una conversazione più dinamica. Tutto sommato, oltre a essere una psicologa e un paziente, siamo anche colleghi con un patrimonio culturale.>>
Psicoterapeuta: <<Com’è questa noia cui ha fatto riferimento? Potrebbe descrivermela?

La psicoterapeuta, all’oscuro del guaio linguistico in cui s’era cacciata, aveva posto una domanda di cui s’era subito compiaciuta, principalmente per aver messo in relazione il colloquio e lo stato d’animo d’un paziente assai complesso. Tuttavia, Augusto Pandossa, per il quale la domanda “potrebbe descrivermela?” significava chiaramente che era possibile descrivere la noia, allo stesso modo in cui non era possibile farlo, andò in sollucheri, tenendo conto anche del fatto che la sua interlocutrice aveva usato il condizionale, aggravando la tensione ipotetica del discorso.
Pandossa: <<Sì. Potrei descrivergliela. Ne ho facoltà>>
La psicoterapeuta si dispose, quindi, con enfasi, ad accogliere il cosiddetto talking-out del professore, il quale, invece, dopo aver dato il proprio assenso, appollaiato comodamente sul divanetto, cominciò, noncurante di chi gli stava innanzi, a osservare con interesse quanto gli stava intorno: mobilio, suppellettili e quadri. La psicoterapeuta, facendo fatica a seguirlo, s’affrettò a indagare sugli espedienti linguistici del “qui ed ora”, nel rispetto scientifico dell’approccio, laddove avrebbe voluto – e non lo negò a sé stessa – intrattenersi a chiacchierare col collega senza schemi d’interpretazione comportamentale.
Psicoterapeuta: <<C’è qualcosa che attira la sua attenzione?>>
Pandossa: <<Sì.>>
Il professore aveva l’abitudine di non arricchire le proprie risposte con ciò che non era esplicitamente richiesto; dunque, alla domanda “C’è qualcosa che attira la sua attenzione?” era sufficiente rispondere o con un sì o con un no. Bisognava porgli un’altra domanda per entrare nel suo campo percettivo, essendo poi disposti ad ammettere che la successiva risposta appartenesse autenticamente al campo percettivo.
Psicoterapeuta: <<Quale?>>
Pandossa: <<La bruttezza dei quadri appesi alle pareti.>>
Psicoterapeuta: (…inghiottendo a vuoto per lo sconforto, come volesse trattenere la reazione) <<Le giunge dunque una sensazione di bruttezza… E se le dico che questi quadri sono dei lavori di alcuni miei pazienti affetti da gravi psicopatologie, lei cosa pensa di questa bruttezza?>>
Pandossa: <<Penso che sia una bruttezza molto brutta. La storia ci ha donato artisti preziosi affetti da gravi psicopatologie, ma la malattia mentale non ha impedito loro di produrre dei capolavori, anzi, talora è stata fonte d’arricchimento; col che non intendo dire che la malattia mentale è una risorsa dell’arte, sia chiaro! Ho solo ribattuto alla sua affermazione. Evidentemente, questi individui con schizofrenia non sono degli artisti. Vien fatto di pensare che questi lavori siano l’esito di attività riabilitative. Nulla da eccepire. Il guaio è che lei li espone con orgoglio. Allora, c’è da chiedersi o quale sia il suo criterio di bellezza artistica o perché lei, seppure così giovane e competente, ceda al vezzo denigratorio di mettere in mostra quanto è prodotto da un ingegno limitato. È una strana posizione quella dell’essere umano che offre al pubblico gli errori altrui; forse si tratta di un tentativo di colmare dei vuoti di personalità o di contrastare un qualche complesso d’inferiorità. Di certo, non sono la persona idonea a formulare questi giudizi. La mia è una banale opinione. Pensi a tutti quegli accademici che imbrattano centinaia di pagine per informare la comunità scientifica delle errate interpretazioni degli altri pensatori, critici o filosofi, quello che siano! Potrebbero, molto più sanamente, impiegare la propria verve scritturale nella stesura di vere opere, anziché dire che Tizio o Caio non hanno ben valutato la poesia di Sempronio. Allo stesso modo, ma su un piano molto più basso, si collocano tutte quelle pubblicazioni di stupidari e frasari fatte da sedicenti scrittori. Insomma, mi dolgo di dover scoprire che anche lei si compiace di questo insano costume. Forse, ho parlato troppo a lungo.>>
Psicoterapeuta: (…un po’ nervosa, ma con esemplare contegno) <<Nient’affatto. L’ho ascoltata con interesse. La bruttezza dei quadri dei miei pazienti la rimanda al cattivo costume dei critici letterari, costume che poi sarebbe anche il mio…>>
Pandossa: <<Ci risiamo! Di nuovo questa specie di riformulazione! La diverte tanto oppure è proprio necessario questo metodo?>>
Psicoterapeuta: <<Entrambe le cose.>>
Pandossa: <<Mi fa piacere che almeno lei riesca a divertirsi.>>
Psicoterapeuta: <<Forse perché lei è un uomo caritatevole, quindi le sta anche a cuore il mio stato d’animo?>>
Pandossa: <<No. Mentirei, se le dicessi che mi sta a cuore il suo stato d’animo. E inoltre non ho mai detto d’essere un uomo caritatevole. Fare qualcosa di caritatevole non vuol dire essere uomini caritatevoli.>>
Psicoterapeuta: <<Bene! Ci limitiamo a dire che lei ha fatto qualcosa di caritatevole nei confronti del preside, ma che non le importa niente di me.>>
Pandossa: <<Ora c’è una buona approssimazione alla verità.>>
Psicoterapeuta: <<Perché parla di approssimazione? Manca qualcosa alla verità?>>
Pandossa: <<Manca sempre qualcosa alla verità. Non gliela posso rivelare io la verità perché non la conosco. Se lei ne sa qualcosa, m’informi pure!>>
Psicoterapeuta: <<La sua unica verità mi pare sia il benessere…Se lei qui sta bene, è giusto che ci rimanga. Altrimenti, è giusto che vada via.>>
Pandossa: <<Io, qui, sto benissimo. Lei ha delle gambe e dei seni meravigliosi…Sarei uno stupido se non godessi della contemplazione. Ecco! Questa potrebbe essere un’espressione della verità della mia presenza qui. Ma alla verità manca qualcosa. Io sono più grande di lei di circa venticinque anni e ho una figlia che ha qualche anno in meno di lei. La contemplazione oscilla, di conseguenza, tra un’opera di Dalì e una di Carrà.>>
Psicoterapeuta: <<Sono certa che questo nostro primo incontro sia stato proficuo…>>
Il professore: (…interrompendo il flusso emotivo della psicoterapeuta) <<Lo penso anch’io. Se avrò bisogno di lei, la ricontatterò.>>

Scosso dall’eccitazione, intrepido, il professore non vedeva l’ora di rientrare a casa per lasciarsi andare al solito rituale della masturbazione.

***

Dai più si dice che un certo gusto erotico è dato anche nell’attesa e nella privazione, ma l’attesa e la privazione sono unicamente delle negazioni dell’essere o, diversamente, modi del rinvio, della necessità imponente e, talora, dell’incapacità di amare.


L’ombra delle querce secolari ha garantito ai poeti, nel tempo, solo un ristoro apparente e amaro, permettendo loro di associare il disagio con le metafore della natura, che giovano alla nascita di corpi letterari antologici. Colui o colei che, girando per casa, possono scorgere semichiusa la porta del bagno e, attraverso la porzione di luce, sono in grado d’intravedere la metà d’un corpo accovacciato sul bidè, senz’alcuna sofferta genitura poetica, diventano abili nel raccontare molto di più di quanto farebbe un maestro del dolce stil novo. Egli o ella, accostandosi all’immagine domestica, è vero, spiano ciò che non hanno bisogno di spiare perché, in quel momento, lo possiedono, quand’anche quel corpo appartenga ad altri per costume, tuttavia trovano maggiore gratificazione nell’atto furtivo che nella richiesta, poiché sanno, tramite lo sguardo e in quest’unico ambiguo modo, di sconfiggere la privazione residua, dominando l’attesa.

Ogni adunanza pubblica è un’occasione pura per indagare al fine di scoprire chi tra i presenti sa giovarsi dei fuochi fatui, quelli che illuminano sempre le stanze buie e, soprattutto, nascoste, e chi, al contrario, resta inchiodato ai gruppi di discussione amena. L’amante perfetto, in queste circostanze, passeggia tra coloro che parlottano e cerca una compagna di fuga, facendosi beffe dei relatori e d’ogni buona maniera: è insidioso, diabolico, scrupoloso, cauto, coraggioso, mai troppo sorridente e sempre pronto alla prematura perdita. E sia chiaro: le differenze di genere non hanno alcun senso!

Alla fine della passeggiata, ella sarà distesa, nuda, sulle gambe di lui, che sulle sue curve riscriverà la vera storia sacra.

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