venerdì 13 dicembre 2019


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Fisiologia


Un applauso di cocente approvazione coperse la voce di Pandossa, il quale andò avanti: <<Qualche mese fa, il mio preside mi consigliò di andare da una psicoterapeuta. Io, essendo rispettoso del mio superiore, accettai il consiglio. A tal proposito, però, emerge un grosso problema: se la dottoressa ha un bel culo e delle belle tette, la psicoterapia funziona. E aggiungo: solo per un po’, il tempo della seduta… perché, ad un certo punto, bisogna pagare. E le sedute, com’è noto, hanno un bel costo. Qual è la morale della favola? Uno scrittore che volesse offrirci un resoconto della relazione tra la psicoterapeuta e il paziente Pandossa dovrebbe indagare su tutte le concause nascoste, non potrebbe limitarsi a descrivere il rapporto di causa ed effetto: il preside, il professor Pandossa, la psicoterapeuta e blà, blà, blà. Questo, bisogna dirlo, Joyce lo fa benissimo. Alle otto e quarantacinque del mattino, cioè quando inizio le mie lezioni al liceo, gli allievi mi guardano catatonici, siamo tutti un po’ grinzosi, come lo è il lenzuolo stretto e schiacciato, quando dormiamo bocconi. Allora, mi metto a girare lentamente tra i banchi. Mi serve vigore. È inutile chiedere una disciplina inesistente e che sarebbe utile, diversamente, solo a scrivere altre settecento pagine d’un saggio che pochi esseri umani leggerebbero e che nulla ha da chiedere alla poesia.

Scivolo tra i banchi. Devo stupire i miei allievi per svegliarli; non del tutto però! Non è facile rispondere a tanta responsabilità.

D’un tratto, mi sovviene l’idea determinante.

Passeggiare in aula interpretando e incarnando le norme interpuntorie. Ecco la soluzione! Ma che vuol dire? Il passo lentissimo dovrebbe corrispondere a tre puntini di sospensione. Il passo lento all’asindeto. Può darsi. Il passo lento, breve e circostanziato corrisponde sicuramente al punto e virgola. Che vuol dire passo circostanziato? Un passo osservato in fase di svolgimento. Il passo seguito da una sosta in un punto qualsiasi dell’aula è inequivocabilmente un punto. Il salto a piè pari potrebbe essere altrettanto inequivocabile: due punti. Ma non posso fare il salto. È la congiura delle norme interpuntorie contro di me.
Ho la vescica piena. Devo svuotarla. In aula è impensabile. Il gesto non avrebbe alcunché di interpuntorio. Vado a pisciare tra la sosta del punto ed i due punti.

A quale formula di scrittura corrisponde? Mi serve un esempio dotto. Ci penso, mentre, già in bagno, mi libero del peso. Il voyeurismo di Dante per Beatrice nella Vita Nuova. Sì, non guardatemi come allocchi! Chiamiamo le cose col giusto nome. Dante era un voyeur. D’altronde, c’è un che di fisiologico. Con un bel giro di parole potrei cavarmela. No! Non va proprio. È tutto così spirituale. Citiamo un altro voyeur! Petrarca. Anche qui potrei cavarmela. Ma non se ne parla proprio! Neanche in questo caso. Un mito è pur sempre un mito. Non va toccato. Allora, Boccaccio! Andreuccio da Perugia mi pare bell’e rincoglionito. E poi… se gli studenti lo raccontano in giro? Un po’ di educazione culturale non fa mai male. Vediamo un po’. Tasso, Boiardo, Ariosto. Un Orlando che perde il senno per poi ricuperarlo sulla luna grazie ad Astolfo e a un cavallo alato potrebbe anche costituire la manifestazione di un problema di ordine fisiologico nella scrittura. Sì, ma così s’indebolisce il processo di fascinazione. Lo stesso dicasi per il don Chisciotte! Nobiltà non rima con pisciare né con fisiologia.

La scrittura è un atto creativo; non la si può mica insudiciare in maniera spicciativa. Mi occorre un salto temporale. Non è escluso che la letteratura dell’ottocento e del novecento mi sia più favorevole.

Ho trovato! Kafka. Tutti hanno letto di Gregor Samsa e nessuno può negare che uno scarafaggio sia tanto immondo quanto una scrittura che manifesti una fisiologia impertinente e inopportuna. La pelle del mio pene s’impiglia nella chiusura lampo, proprio mentre sto per mettere a punto l’esempio dotto. Il dolore lancinante spazza via ottocento anni di letteratura. Il mio membro è arrossato. Al rientro in aula sono pallido, ma godo della sensazione di scampato pericolo. Gli studenti mi fissano. Sono in debito con loro!

Ricomincio a passeggiare tra i banchi e medito sempre su qualcosa di fisiologico, qualcosa che renda l’idea dello scampato pericolo! Uno scrittore contemporaneo potrebbe cominciare proprio dall’arrossamento di un membro qualsiasi. Vi ringrazio dell’ascolto! Una buona giornata!>>.

Una poderosa ovazione accolse il professore che s’apprestava a lasciare lo scranno. Gruppi indistinti di uditori gli si avvicinarono per complimentarsi con lui. Egli fece appello a tutta la propria inventiva per evitarli e puntò risoluto l’uscita. Mentre stava per defilarsi, però, s’udì un colpo di pistola che intronò l’intera aula magna. Come fosse attratta da una calamita, la più parte dei presenti s’ammucchiò attorno al corpo esanime della studentessa universitaria che s’era appena tolta la vita con un gesto plateale, infilandosi in bocca la canna di una trentotto e facendo fuoco alla presenza di amici e colleghi. Pandossa s’impietrì. Contemplò la scena imprecando tra sé: <<Gli eventi pubblici non portano mai a nulla di buono!>>. Gli riusciva difficile sopportare lo sdegno alla vista di quella calca di omuncoli curiosi che subissava di sguardi e commenti il cadavere della giovane donna. Poi, premuroso e paterno, con la coda dell’occhio, vide i propri studenti inseguire la folla e si slanciò ad impedire loro di partecipare allo scempio.

Sentì il bisogno di isolarsi a elaborare un angosciante dolore ignoto e che giudicò irragionevole e impertinente. Appena fuori dall’istituto, infatti, si assicurò che i ragazzi riprendessero la via di casa e cercò le strade meno affollate per fare ritorno alla propria, senza opporsi più alle lacrime, che solcarono copiosamente il suo viso.

***

'Adesso, basta!': sarebbe il caso d'incidere questa formula imperativa su tutti i diari segreti degli esseri umani, ma occorrerebbe farlo, quando fossero adolescenti e cominciassero a convincersi d'avere un certo credito nei confronti della natura. Guardare il mare e dichiarare d'amarlo o d'esserne affascinati, senza averne mai domato le onde a bordo d'un'imbarcazione di fortuna e, soprattutto, a largo, presso i grandi banchi, dove scompaiono misure e grandezze protettive, equivale a gloriarsi d’un titolo che non si possiede. Fin da piccoli, siamo indottrinati con malevolenza nell’arte patetica dell’ammirazione e dello scimmiottamento, che altro non è, fuorché una variante della pusillanimità e della pigrizia: si esalta ciò che resta a debita distanza da noi e che, per ciò stesso, appare elevato e nobile.

Dunque, impariamo a menadito interminabili elenchi di parole astratte: amore, amicizia, bellezza, anima et similia; ne abusiamo fino al momento in cui, per difetto di memoria ed esaurimento, cominciamo a ripeterle daccapo perché siamo iniettati di petrarchismo e stilnovismo. Nessuno ci ha mai fatto notare tuttavia che il sublime Petrarca, l’imponente Dante o il raffinato Leopardi, pur qualificandosi come poeti inarrivabili, erano irredimibili voyeur travestiti da sacerdoti della delicatezza. <<Chiare, fresche e dolci acque>> è il racconto di un guardone; <<Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia>> è la spacconata di un uomo che usa il possessivo “mia” a proposito di una donna che non ha mai sfiorata. Intendiamoci! Nessuno, qui, ha l’ardire di revocarne in dubbio la qualità letteraria, talora inarrivabile, talaltra addirittura ‘trascendente’: occorre un po’ di coraggio ermeneutico-esistenziale, se non vogliamo limitarci ad applaudire gli autori delle antologie. Il recanatese era un po’ più onesto degli altri, ma, con Silvia, si lascia spesso andare a posizioni ambigue. Impotenti o pavidi, non avrebbero mai saputo dire a una donna ‘ti voglio’ o, addirittura, ‘voglio scoparti’, cosicché il verbo ‘scopare’ viene esiliato dalla lingua, estromesso come maleficio linguistico e insulto. A scuola, nessuno ci parla di Neruda, Rilke e Celan.

Non saremo mai pronti al naufragio; diversamente, per allontanarci un po’ dalla terraferma abbiamo bisogno, tutt’intorno, di luce e schiamazzo, della stagione estiva e di spiagge affollate. Di notte, nulla può accadere. Allo stesso modo, se una mano s’insinua con forza tra le gambe dell’atro, senza il dovuto preavviso, o corre a stringerne i capelli, la prima reazione configura un insensato e inspiegabile rifiuto.


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