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Immaginazione
D’incanto, il silenzio calò
dolcemente sui ragazzi, interrotto unicamente dai rumori dell’ambiente
circostante.
<<L’amore…>> esordì Pandossa
gustando una lunga pausa e socchiudendo gli occhi.
<<L’amore comincia sempre
dalla manifestazione delle nostre paure infantili. È la paura di perdersi tra i
suoni e le luci di un luna park, che ci stordiscono e ci portano in giro tra
altalene e pupazzi: sull’altalena ci lasciamo spingere fino al batticuore; del
pupazzo imitiamo inconsapevolmente l’espressione statica e ridicola.
D’improvviso, siamo presi dall’ansia febbrile di volere sperimentare tutti i
giochi, senz’accorgerci d’essere avidi ed egoisti. Ci annoia pure l’attesa
delle file davanti alla biglietteria. Vorremmo scalzare tutti e possedere
l’intero parco dei divertimenti. Questa frenesia, però, a poco a poco, ci
logora, ci fa perdere parecchie energie, fa svanire l’effetto allucinogeno,
cosicché ci voltiamo alla ricerca del nostro accompagnatore e, nostro malgrado,
non lo troviamo. Ci siamo perduti e facciamo fatica ad ammetterlo, ad
accettarlo. Facciamo il cammino a ritroso, ma, la paura ha subito la meglio su
di noi e pupazzi e altalene non ci sono più tanto familiari quanto lo erano
all’inizio. Spinti dal bisogno di essere grandi e autonomi, di essere re del
mondo anche per poco, abbiamo perduto di vista pure la strada di casa, di quel
luogo dove una madre e un padre possono sempre proteggerci. Urliamo e iniziamo
un pianto che non avrà più fine.
Crescendo, non facciamo altro che
nascondere le lacrime e rivendicare sottovoce il bisogno d’una madre amante o
d’un padre amante. Abbiamo paura e preferiamo anche un solo giro sulle montagne
russe nella speranza di racchiudere in pochi minuti di esaltazione ed ebbrezza
la responsabilità di una vita. L’amore, dunque, comincia da questa paura, che
riduce il nostro coraggio fin dall’infanzia. Bisogna sapersi perdere
autenticamente per imparare ad amare, perdersi in colui o colei che, pur
ascoltando i suoni, sa distinguerli dal rumore, e, pur vedendo le luci, non si
fa abbagliare, pur divertendosi, non ci perde mai di vista e sa sempre
indicarci la via del ritorno a casa. Eppure, siamo scossi dalla memoria di un
errore puerile e temiamo di vivere nell’altro e per l’altro, mistificando i
nostri gesti e travestendoli d’un orgoglio inesistente, di cui non sapremmo
neppure parlare.>>
<<Professore, che cos’è la
sessualità, secondo lei?>> chiese una ragazza della seconda fila.
Gli uditori, frattanto, si
facevano sempre più numerosi. Per la prima volta, anche gli altri docenti erano
impalati ad ascoltarlo, dimentichi pure del malanimo con cui di solito gli si
rivolgevano e capaci, addirittura, di tenere a bada l’invidia che li portava,
il più delle volte, all’inimicizia. Augusto li notò e fece loro un cenno di
benvenuto. Il preside avrebbe voluto esprimere la propria opinione; bolliva di
gelosia, ma fu cauto, comprese che un suo intervento, in quel momento, gli
avrebbe fatto guadagnare solo una vera e propria insurrezione.
<<La sessualità è…>>
riattaccò Pandossa con la solita pausa di piacere.
<<La sessualità è,
anzitutto, ciò che il nostro preside dovrebbe praticare di più!>>
Non fece in tempo ad ultimare la
frase che le grida di approvazione e lo schiamazzo dei ragazzi fecero
sprofondare il capo d’istituto nel baratro della vergogna. Di colpo, lo si vide
impacciato, agitato, arrossato dall’ira.
Nessuno osò interrompere l’esultanza dei ragazzi. Solo Pandossa avrebbe
potuto ripristinare l’attenzione, ma non lo fece. Anzi, rincarò la dose. Fu
sufficiente un suo braccio alzato a mostrare il palmo della mano a che i
ragazzi si disponessero di nuovo all’ascolto.
<<Ragazzi, sia chiaro:
nulla di personale! Si tratta del nostro preside e abbiamo il dovere umano e
istituzionale di rispettarne il ruolo e la professionalità.>>
Quest’ultima affermazione lasciò
tutti un po’ perplessi, ma, secondo il codice di Augusto Pandossa, non era affatto
contraddittoria. Per lui, non c’erano gli elementi per gridare allo scandalo,
ravvisare moti di vendetta o la volontà di mortificare qualcuno; per la qual
cosa le due affermazioni erano perfettamente e contemporaneamente valide.
Abituato, com’era, a trattare le questioni con acume scientifico e attenzione
analitica, isolava le dichiarazioni e le definizioni dai pareri personali. Era
ben conscio che invitare il preside, in pubblico, a praticare del sano sesso
avrebbe generato un certo scandalo, ma egli non possedeva la stessa misura
dello scandalo.
<<Aggiungo pure che ciò che
ho dichiarato è testimonianza della mia gratitudine nei suoi confronti.>>
A queste parole, un po’ tutti
aggrottarono le sopracciglia ed arricciarono il naso.
<<Ragazzi, colleghi, il
preside è stato così premuroso verso di me da suggerirmi un aiuto
psicoterapeutico ed io, oggi, colgo l’occasione per ringraziarlo perché,
recandomi dalla psicoterapeuta in servizio presso il nostro istituto, ho avuto
modo di conoscere una bella donna, sebbene sia molto più giovane di me, e, in
seguito alla piacevole chiacchierata, ho meditato molto su ciò che condiziona
le relazioni tra uomo e donna, tra uomo e uomo o tra donna e donna. Nel vedere
il preside così accigliato, stamani, ho trovato un paio di risposte alla
domanda su come si possa definire la sessualità. Poco importa che la domanda mi
sia stata fatta dopo. La sessualità, per chi appartiene alla nostra specie,
nasce dalla stessa paura dalla quale comincia l’amore, ma è la prima tra le
arti, se siamo disposti a mettere per un po’ da parte l’antropologia, senza
tuttavia trascurarla troppo. Anche in questo caso, infatti, suoni e luci del
luna park ci fanno diventare avidi. Anche in questo caso, abbiamo bisogno di
giocare e di sentirci dire che siamo bravi. Non sempre è necessario che
l’elogio arrivi dalle parole, spesso bastano le conferme di un contatto. Tanto
maggiore è il numero dei contatti, quanto più bravi e forti pensiamo di essere.
Qui, però, ragazzi miei, occorre prestare attenzione… perché tanto più forte è
il bisogno di conferme, quanto più s’indebolisce il nostro Io. Il guaio è il
seguente: sono vere e necessarie entrambe le cose! Pertanto, che c’entra il
preside? E la psicoterapeuta? L’altalena tra bisogno di contatto fisico e
indebolimento ci induce a proiettare sugli altri la nostra incapacità di
equilibrio. Si finisce col vivere d’immaginazione e col pretendere dagli altri
ciò che, in realtà, pretendiamo solo da noi stessi. Ecco! Ci vuole una
ridefinizione: la sessualità è, prima di tutto, immaginazione. Presumo che il
preside si sia ritrovato in questo stato d’angoscia o di scompenso e abbia
voluto trasferire su di me un proprio bisogno. Io non posso che essergliene
grato perché, grazie a lui, ho arricchito il mio pensiero, non la mia
immaginazione, che ha diversa natura, si badi bene!>>.
Finito che ebbe di pronunciare la
parola bene, sentì un tremito interiore, una specie di sussulto che ne arrestò
la verve oratoria. S’appoggiò allo schienale e s’abbandonò a uno sguardo
amorevole e trasognato, ma che fendeva attentamente la folla, fino a
scavalcarla. Riconobbe il profilo della figlia, Eleonora, la quale a ridosso
degli studenti, stava abbracciando calorosamente la psicoterapeuta
dell’istituto, quella bella donna della quale egli aveva appena parlato. Le due
donne, evidentemente, erano vecchie amiche. Il loro affiatamento era intuibile
anche a distanza. Di occhio in occhio, gli sguardi si concentrarono tutti sulle
due figure. Su quel piccolo mondo scese avvolgente una suggestione fiabesca.
Augusto, per primo, si sentì incalzato a sottrarre al maligno l’anello magico
per la liberazione della principessa.
***
All’immaginazione si è soliti assegnare una copula, un
aggettivo che ce lo faccia apparire familiare e, di conseguenza, un giudizio: nel
dire “l’immaginazione è…”, si elabora già una promessa di conforto per sé
stessi, ma non ci si rende conto di contrarre un grosso debito nei confronti di
ciò che noi siamo e, soprattutto, nei confronti di ciò che vogliamo, poiché
l’annunciazione di un bisogno, prima o poi, si muta nel bisogno stesso. Di
fatto, quest’abitudine di tracciare confini netti e aritmetici, false
traiettorie euclidee e ponti cartesiani pericolanti diventa persona e atto,
ogni qual volta in cui siamo costretti a scegliere e, nello scegliere, a
servirci della deduzione, cioè a osare. Dunque, anzitutto e per lo più, l’immaginazione
è giudicata, è forzato a diventare una categoria linguistica, è privata di
quell’unico significato che possiede: il costituire un nostro modo d’essere nel
mondo, per dirla con Heidegger.
All’inizio d’una qualsivoglia relazione, per esempio,
uno dei due amanti, specie a causa del terribile esordio, vive di timori e
dubbi, cosicché, se invia un messaggio compromettente, teme di aver alterato
l’equilibrio intimo, e, se non lo invia, teme d’aver sottratto alla relazione
un che di prezioso. In entrambi i casi,
si dubita della propria correttezza, generando un rinvio febbrile del godimento
e cominciando a elencare parole per definire le ore o i giorni che passano
prima del nuovo incontro. Non si comprende che il linguaggio non serve a dare
definizioni perché la definizione appartiene a ciò che è universale, mentre ciò
che noi siamo e vogliamo è ‘particolare’. Chi ne fa uso con consapevolezza e
maestria non corre alcun rischio e non potrà mai minacciare il benessere
altrui, pur nella clandestinità e nella violazione dei postulati sociali e
religiosi, non perché sia un accademico raffinato, ma perché eviterà sempre di
dare definizioni.
Quante volte, durante i primi incontri, un uomo
avvicinando la propria bocca a quella della donna, nel tentativo di baciarla,
s’è sentito dire “non è il momento giusto”? Ecco, questo dire che ‘qualcosa è o
non è’ determina la promessa di conforto, uno snaturamento dell’immaginazione,
laddove baciarsi sarebbe l’unico vero e possibile conforto: nulla esiste,
fuorché nell’atto e nell’uso. Noi siamo amanti, nel momento i cui ci baciamo,
ci attacchiamo gli uni agli altri famelici; non già quando pensiamo di esserlo.
Attaccati gli uni agli altri viviamo la nostra immaginazione; altrimenti, ci
annulliamo, scompariamo. Il rinvio della donna, probabilmente, è solo una
ricerca di significati e conferme, che, tuttavia, ella già possiede
semplicemente per averle incluse nella propria dichiarazione. Meglio allora
lasciare intravedere i seni dalla scollatura che dire ciò che giusto e ciò che
non lo è.
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