sabato 18 gennaio 2020


12
Immaginazione


D’incanto, il silenzio calò dolcemente sui ragazzi, interrotto unicamente dai rumori dell’ambiente circostante.

<<L’amore…>> esordì Pandossa gustando una lunga pausa e socchiudendo gli occhi.      
<<L’amore comincia sempre dalla manifestazione delle nostre paure infantili. È la paura di perdersi tra i suoni e le luci di un luna park, che ci stordiscono e ci portano in giro tra altalene e pupazzi: sull’altalena ci lasciamo spingere fino al batticuore; del pupazzo imitiamo inconsapevolmente l’espressione statica e ridicola. D’improvviso, siamo presi dall’ansia febbrile di volere sperimentare tutti i giochi, senz’accorgerci d’essere avidi ed egoisti. Ci annoia pure l’attesa delle file davanti alla biglietteria. Vorremmo scalzare tutti e possedere l’intero parco dei divertimenti. Questa frenesia, però, a poco a poco, ci logora, ci fa perdere parecchie energie, fa svanire l’effetto allucinogeno, cosicché ci voltiamo alla ricerca del nostro accompagnatore e, nostro malgrado, non lo troviamo. Ci siamo perduti e facciamo fatica ad ammetterlo, ad accettarlo. Facciamo il cammino a ritroso, ma, la paura ha subito la meglio su di noi e pupazzi e altalene non ci sono più tanto familiari quanto lo erano all’inizio. Spinti dal bisogno di essere grandi e autonomi, di essere re del mondo anche per poco, abbiamo perduto di vista pure la strada di casa, di quel luogo dove una madre e un padre possono sempre proteggerci. Urliamo e iniziamo un pianto che non avrà più fine.

Crescendo, non facciamo altro che nascondere le lacrime e rivendicare sottovoce il bisogno d’una madre amante o d’un padre amante. Abbiamo paura e preferiamo anche un solo giro sulle montagne russe nella speranza di racchiudere in pochi minuti di esaltazione ed ebbrezza la responsabilità di una vita. L’amore, dunque, comincia da questa paura, che riduce il nostro coraggio fin dall’infanzia. Bisogna sapersi perdere autenticamente per imparare ad amare, perdersi in colui o colei che, pur ascoltando i suoni, sa distinguerli dal rumore, e, pur vedendo le luci, non si fa abbagliare, pur divertendosi, non ci perde mai di vista e sa sempre indicarci la via del ritorno a casa. Eppure, siamo scossi dalla memoria di un errore puerile e temiamo di vivere nell’altro e per l’altro, mistificando i nostri gesti e travestendoli d’un orgoglio inesistente, di cui non sapremmo neppure parlare.>>

<<Professore, che cos’è la sessualità, secondo lei?>> chiese una ragazza della seconda fila.

Gli uditori, frattanto, si facevano sempre più numerosi. Per la prima volta, anche gli altri docenti erano impalati ad ascoltarlo, dimentichi pure del malanimo con cui di solito gli si rivolgevano e capaci, addirittura, di tenere a bada l’invidia che li portava, il più delle volte, all’inimicizia. Augusto li notò e fece loro un cenno di benvenuto. Il preside avrebbe voluto esprimere la propria opinione; bolliva di gelosia, ma fu cauto, comprese che un suo intervento, in quel momento, gli avrebbe fatto guadagnare solo una vera e propria insurrezione.

<<La sessualità è…>> riattaccò Pandossa con la solita pausa di piacere.
<<La sessualità è, anzitutto, ciò che il nostro preside dovrebbe praticare di più!>>
Non fece in tempo ad ultimare la frase che le grida di approvazione e lo schiamazzo dei ragazzi fecero sprofondare il capo d’istituto nel baratro della vergogna. Di colpo, lo si vide impacciato, agitato, arrossato dall’ira.  Nessuno osò interrompere l’esultanza dei ragazzi. Solo Pandossa avrebbe potuto ripristinare l’attenzione, ma non lo fece. Anzi, rincarò la dose. Fu sufficiente un suo braccio alzato a mostrare il palmo della mano a che i ragazzi si disponessero di nuovo all’ascolto.

<<Ragazzi, sia chiaro: nulla di personale! Si tratta del nostro preside e abbiamo il dovere umano e istituzionale di rispettarne il ruolo e la professionalità.>>
Quest’ultima affermazione lasciò tutti un po’ perplessi, ma, secondo il codice di Augusto Pandossa, non era affatto contraddittoria. Per lui, non c’erano gli elementi per gridare allo scandalo, ravvisare moti di vendetta o la volontà di mortificare qualcuno; per la qual cosa le due affermazioni erano perfettamente e contemporaneamente valide. Abituato, com’era, a trattare le questioni con acume scientifico e attenzione analitica, isolava le dichiarazioni e le definizioni dai pareri personali. Era ben conscio che invitare il preside, in pubblico, a praticare del sano sesso avrebbe generato un certo scandalo, ma egli non possedeva la stessa misura dello scandalo.

<<Aggiungo pure che ciò che ho dichiarato è testimonianza della mia gratitudine nei suoi confronti.>>

A queste parole, un po’ tutti aggrottarono le sopracciglia ed arricciarono il naso.
<<Ragazzi, colleghi, il preside è stato così premuroso verso di me da suggerirmi un aiuto psicoterapeutico ed io, oggi, colgo l’occasione per ringraziarlo perché, recandomi dalla psicoterapeuta in servizio presso il nostro istituto, ho avuto modo di conoscere una bella donna, sebbene sia molto più giovane di me, e, in seguito alla piacevole chiacchierata, ho meditato molto su ciò che condiziona le relazioni tra uomo e donna, tra uomo e uomo o tra donna e donna. Nel vedere il preside così accigliato, stamani, ho trovato un paio di risposte alla domanda su come si possa definire la sessualità. Poco importa che la domanda mi sia stata fatta dopo. La sessualità, per chi appartiene alla nostra specie, nasce dalla stessa paura dalla quale comincia l’amore, ma è la prima tra le arti, se siamo disposti a mettere per un po’ da parte l’antropologia, senza tuttavia trascurarla troppo. Anche in questo caso, infatti, suoni e luci del luna park ci fanno diventare avidi. Anche in questo caso, abbiamo bisogno di giocare e di sentirci dire che siamo bravi. Non sempre è necessario che l’elogio arrivi dalle parole, spesso bastano le conferme di un contatto. Tanto maggiore è il numero dei contatti, quanto più bravi e forti pensiamo di essere. Qui, però, ragazzi miei, occorre prestare attenzione… perché tanto più forte è il bisogno di conferme, quanto più s’indebolisce il nostro Io. Il guaio è il seguente: sono vere e necessarie entrambe le cose! Pertanto, che c’entra il preside? E la psicoterapeuta? L’altalena tra bisogno di contatto fisico e indebolimento ci induce a proiettare sugli altri la nostra incapacità di equilibrio. Si finisce col vivere d’immaginazione e col pretendere dagli altri ciò che, in realtà, pretendiamo solo da noi stessi. Ecco! Ci vuole una ridefinizione: la sessualità è, prima di tutto, immaginazione. Presumo che il preside si sia ritrovato in questo stato d’angoscia o di scompenso e abbia voluto trasferire su di me un proprio bisogno. Io non posso che essergliene grato perché, grazie a lui, ho arricchito il mio pensiero, non la mia immaginazione, che ha diversa natura, si badi bene!>>.

Finito che ebbe di pronunciare la parola bene, sentì un tremito interiore, una specie di sussulto che ne arrestò la verve oratoria. S’appoggiò allo schienale e s’abbandonò a uno sguardo amorevole e trasognato, ma che fendeva attentamente la folla, fino a scavalcarla. Riconobbe il profilo della figlia, Eleonora, la quale a ridosso degli studenti, stava abbracciando calorosamente la psicoterapeuta dell’istituto, quella bella donna della quale egli aveva appena parlato. Le due donne, evidentemente, erano vecchie amiche. Il loro affiatamento era intuibile anche a distanza. Di occhio in occhio, gli sguardi si concentrarono tutti sulle due figure. Su quel piccolo mondo scese avvolgente una suggestione fiabesca. Augusto, per primo, si sentì incalzato a sottrarre al maligno l’anello magico per la liberazione della principessa.

***

All’immaginazione si è soliti assegnare una copula, un aggettivo che ce lo faccia apparire familiare e, di conseguenza, un giudizio: nel dire “l’immaginazione è…”, si elabora già una promessa di conforto per sé stessi, ma non ci si rende conto di contrarre un grosso debito nei confronti di ciò che noi siamo e, soprattutto, nei confronti di ciò che vogliamo, poiché l’annunciazione di un bisogno, prima o poi, si muta nel bisogno stesso. Di fatto, quest’abitudine di tracciare confini netti e aritmetici, false traiettorie euclidee e ponti cartesiani pericolanti diventa persona e atto, ogni qual volta in cui siamo costretti a scegliere e, nello scegliere, a servirci della deduzione, cioè a osare. Dunque, anzitutto e per lo più, l’immaginazione è giudicata, è forzato a diventare una categoria linguistica, è privata di quell’unico significato che possiede: il costituire un nostro modo d’essere nel mondo, per dirla con Heidegger.

All’inizio d’una qualsivoglia relazione, per esempio, uno dei due amanti, specie a causa del terribile esordio, vive di timori e dubbi, cosicché, se invia un messaggio compromettente, teme di aver alterato l’equilibrio intimo, e, se non lo invia, teme d’aver sottratto alla relazione un che di prezioso.  In entrambi i casi, si dubita della propria correttezza, generando un rinvio febbrile del godimento e cominciando a elencare parole per definire le ore o i giorni che passano prima del nuovo incontro. Non si comprende che il linguaggio non serve a dare definizioni perché la definizione appartiene a ciò che è universale, mentre ciò che noi siamo e vogliamo è ‘particolare’. Chi ne fa uso con consapevolezza e maestria non corre alcun rischio e non potrà mai minacciare il benessere altrui, pur nella clandestinità e nella violazione dei postulati sociali e religiosi, non perché sia un accademico raffinato, ma perché eviterà sempre di dare definizioni.

Quante volte, durante i primi incontri, un uomo avvicinando la propria bocca a quella della donna, nel tentativo di baciarla, s’è sentito dire “non è il momento giusto”? Ecco, questo dire che ‘qualcosa è o non è’ determina la promessa di conforto, uno snaturamento dell’immaginazione, laddove baciarsi sarebbe l’unico vero e possibile conforto: nulla esiste, fuorché nell’atto e nell’uso. Noi siamo amanti, nel momento i cui ci baciamo, ci attacchiamo gli uni agli altri famelici; non già quando pensiamo di esserlo. Attaccati gli uni agli altri viviamo la nostra immaginazione; altrimenti, ci annulliamo, scompariamo. Il rinvio della donna, probabilmente, è solo una ricerca di significati e conferme, che, tuttavia, ella già possiede semplicemente per averle incluse nella propria dichiarazione. Meglio allora lasciare intravedere i seni dalla scollatura che dire ciò che giusto e ciò che non lo è.



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